venerdì 14 dicembre 2012

Chi ha ancora paura dell'apocalisse?

Nelle prossime righe cercherò di spiegare alcuni concetti a me cari, applicabili a tutto il genere fantascientifico (e più in generale a tutte le produzioni artistico/culturali) prendendo come esempio un particolare tipo di letteratura/cinematografia a me molto cara. Questo articolo non vuole essere nè un bibliografia/filmografia completa ed esaustiva nè tantomento un saggio critico sull'argomento (che altrimenti richiederebbe interi volumi di pagine), chiedo dunque venia se ho tralasciato qualche titolo/autore o se mi soffermo su determinati aspetti ignorandone altri. Per arrivare però al punto del discorso mi è necessario ripercorrere alcuni punti fondamentali della storia letteraria/cinematografica dell'argomento in questione.

il presunto capostipite
del genere


A differenza di quanto comunemente percepito il filone apocalittico, o post-apocalittico che dir si voglia, nasce già agli albori della fantascienza, le sue radici si possono infatti trovare anche nella proto fantascienza di fine ottocento/primi del novecento: risale addirittura al 1826 "L'ultimo Uomo" di Mary Shelly anche se in questo caso lo scenario da "fine di civiltà" non è il vero e proprio tema portante del romanzo ma semplicemente un incipit per raccontare l'ipotetica civiltà futura teorizzata dall'autrice. 

Per trovare un primo vero esempio di romanzo post-apocalittico bisogna risalire alla "La Nube Purpurea"  di Shiel del 1901. Qui gli elementi del genere sono presenti tutti: all'apocalisse causata da una gigantesca eruzione vulcanica con la conseguente fuoriuscita di gas venefici (la nube purpurea del  titolo) sopravvive un solo singolo uomo. La situazione è veicolo della riflessione sulla natura umana, la mancanza dei punti di riferimento creati dalla società e dalla comunità sono ciò che causa quella che può definirsi una regressione del protagonista ad uno stato animale o incivile palesando come l'uomo, se estraniato e privato dei suoi riferimenti culturali e sociali, possa perdere in un certo qual modo la sua natura umana portando a riflettere su quanto sia dipendente da fattori precari la pretesa condizione superiore dell'essere umano.

Questo modello che Shiel applica in questo caso ad un singolo soggetto diventerà poi il leit-motiv di tutta la produzione del sotto-genere andando a spostarsi dall'esame del singolo soggetto ad una dimensione più ampia, sostituendo l'involuzione del singolo con una più ampia involuzione della società. Ne è esempio "Il Morbo Scarlatto": romanzo di Jack London del 1912 comunemente (ed erroneamente) ritenuto capostipite del filone. Numerosi sono i titoli che seguiranno sostanzialmente lo stesso schema narrativo negli anni a seguire: virus piaghe e catastrofi naturali i più comuni veicoli della fine dell'umanità e del suo successivo imbarbarimento.

l'apocalisse si
fa nucleare
Bisognerà attendere il 1957 con il romanzo "On the Beach" di Nevil Shute a cui seguirà poi nel 1959 l'omonimo film di Kramer perchè la catstrofe diventi atomica, qui il filone fa una leggera ma significativa evoluzione: non è più un evento esterno e non controllabile a portare al collasso della civiltà ma è la stessa razze umana che tramite un uso incotrollato dell'energia nucleare causa la sua stessa fine. Non vi è più soltanto una riflessione sul rapporto tra l'uomo e la sua cosidetta "umanità" e su come questa non sia in realtà una condizione naturale ma bensì costruita e sostenuta dallo sviluppo culturale e civile. Facendo un passo ancora avanti si sottolinea come la cosa che più mette in pericolo questo equilibrio precario sia la natura interiore stessa dell'uomo sempre pronta a riemergere e a causare il proprio imbarbarimento, sottolineando ancor più quanto la condizione "civile" sia appesa ad un filo.

forse la migliore
trasposizione
di "Io Sono Leggenda"
Inutile elencare i numerosi titoli, sia cinematografici che letterali che hanno segnato il genere dagli anni 50 in poi, rimane doveroso però citare i più  significativi e famosi, per la carta stampata non si può tralasciare "Io Sono Leggenda" (1954) di Matheson che nel corso degli anni avrà ben tre trasposizioni cinematografiche o lo splendido "Un Cantico Per Liebowitz" di Miller (1959) o l'ancor pià famoso "Il Pianeta Delle Scimmie" di Boulle (1963) che diede poi vita alla seguente trasposizione su pellicola e la successiva (anche se meno pregevole a livello di contenuti) saga. In tempi più recenti vanno menzionate opere come "Cecità" di Samarago (1995) o il recentissimo "Metro 2033" (2002) di Gluchowsky. Sul versante della celluloide oltre alle trasposizioni di romanzi già citati è doveroso segnalare anche lo splendido "A Boy And His Dog" di jones (1975) ma anche "La Notte Dei Morti Viventi" di Romero (1968) che seppur con premesse differenti tocca e sviluppa le medesime tematiche delle pellicole più "canoniche".   

nel bene e nel male
ha comunque fatto storia
l'impoverimento culturale e lo svuotamento di contenuti che tutt il cinema di fantascienza subisce dagli anni 80 in poi toccherà anche al filone del dopo-bomba, toccherà a "Mad Max 2" essere il perno del passaggio da un genere di fantascienza improntata sui temi sociologici ad una produzione più di spettacolo dove a farla da padrone è più l'estetica che i concetti. Innumerevoli si conteranno in seguito, grazie anche all'enorme successo commerciale della pellicola di Miller, i cloni e le brutte copie incapaci non solo di aggiungere nulla di nuovo a quanto già detto o visto ma neanche in grado di riproporre le tematiche di riflessione che il genere aveva sempre perpretato negli anni precedenti. Bisognerà attendere anni ben più recenti per veder tornare sullo schermo pellicole che al di là della spettacolarità proporranno anche contenuti degni di nota, come il recentissimo "The Road" o il meno noto il "Il Tempo Dei Lupi" i quali rimangono però singoli elementi isolati di quella che pare a tutti gli effetti essere un genere che non stimola più interesse e creatività.

che i Maya già prevedessero
le ponzialità del genere
catastrofico?
Viene dunque da domandarsi cosa sia cambiato in tutti questi anni, forse non fa più paura la fine del mondo? Oppure siamo finalmente invasi da una ondata di ottimismo verso il futuro? Ovviamente a nessuna di queste domande si può rispondere in modo affermativo. E neppure si può dire che l'argomento sia semplicemente passato di moda: la presunta fine del calendario maya con annessi e connessi dimostra quanto ancora l'argomento sia popolare e capace di attirare l'attenzione anche delle masse che di fantascienza e futurologia non si sono mai interessati.

Forse il punto principale della questione sta proprio nel cercare il riscontro commerciale, nel rendere appetibile alle masse l'argomento. Pur di aumentare i consensi si è forse cercato di alleggerire i contenuti sociali e di riflessione mantenendo soltanto l'aspetto spettacolare del sotto genere. Così è il mezzo, ossia il confronto tra l'uomo e la catastrofe prima utilizzato come scusa per discutere dell'uomo stesso, a diventare il fine: il mostrare (specie in ambito cinematografico) la catastrofe diventa non l'inizio ma il corpo centrale di una nuovo filone "catasfrofista" dove la natura furiosa devasta e distrugge la sicura e tranquilla quotidianità.

Putroppo però questa nuova e recente tendenza non è un segno di un ritorno alle origini dettate da Shiel e London, si tratta infatti di una catastrofe svuotata dall'elemento umano e sociologico, nato forse dalla paura (o consapevolezza) di autori e sceneggiatori che il pubblico non sia più in grado di apprezzare una storia, che a conti fatti, gli fa la predica. 

Molto meglio allora puntare sulla spettacolarità della immagini o raccontare nei minimi e spaventosi dettagli la distruzione e caduta del mondo odierno e dei suoi simboli, siano essi noti grattacieli, ponti monumentali o noti fast-food, dimodochè una volta finita la pellicola e usciti dalla sala cinematografica si possa essere grati di poter ancora andare da McDonalds, guidare il nostro suv e guardare il nostro reality preferito. Si ribalta così totalmente la prospettiva del genere: non è più uno stimolo alla riflessione finalizzata al cambiamento e al miglioramento ma si trasforma solo in una sterile ode al conservatorismo il cui risultato è soltanto una apatica e autocelebrativa omologazione al sistema.

Si potrebbe dissertire a lungo sulla causa di questo impoverimento di contuenuti, che anche se in questo contesto attribuisco ad un singolo sottogenere è in realtà un fenomeno diffuso a tutta la fantascienza e addirittura a tutto l'ambito letterario/cinematografico. Se è vero che da un lato il pubblico apaticamente accetta ciò che gli viene propinato ed è restio ad allontanarsi dai percorsi a lui già noti è altrettanto vero che dall'altro lato c'è la tendenza ad offrire solo ciò che si sa verrà sicuramente compreso creando così un circolo vizioso in costante perdita. I circoli tuttavia possono essere anche virtuosi basta soltanto che, da ambo le parti, ci sia una seppur minima inversione di tendenza. Non mi dilungo oltre su queste considerazioni di cui ho forse discusso fin troppo in altri miei articoli concludo soltanto lanciando un piccolo appello rivolto sia ad autori/scenggiatori che a lettori/spettatori: azzardate, osate e rischiate.

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